Cessione al posto dell’adempimento, va prima escusso il debitore ceduto

Cessione al posto dell adempimento

Una pronuncia della Cassazione sulla cessione di credito

Il principio

La cessione del credito in luogo dell’adempimento non comporta la liberazione del debitore originario, che consegue alla realizzazione del credito ceduto; il credito originario rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità di fruttuosa escussione del debitore ceduto; il creditore cessionario è tenuto ad escutere prima il debitore ceduto e, solo quando il medesimo risulti insolvente, si può rivolgere al debitore originario

In caso di cessione di un credito, fatta per adempiere a un’obbligazione, il creditore è tenuto a rivolgersi prima al debitore ceduto e, solo quando questi sia insolvente, si può rivolgere al debitore originario.
È così che la Suprema corte, con la sentenza 6558 del 29 marzo 2005, ha risolto un’annosa questione che tormentava la dottrina ma che mai era stata oggetto del giudizio di legittimità.

In relazione a tale questione, dice il Collegio, “va rilevato che la cessione prevista dall’articolo 1198 non estingue il credito originario, ma affianca ad esso quello ceduto con la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante la realizzazione di quest’ultimo credito”.

In sostanza si verifica la coesistenza di due crediti, quello originario e quello ceduto. C’è di più. Non va trascurato, secondo i giudici della terza sezione e come vuole parte della dottrina, il collegamento fra la norma contenuta nell’articolo 1198 del c.c. (cessione di un credito in luogo dell’adempimento) e quella contenuta nell’articolo 1267 (garanzia della solvenza del debitore). Nella prima disposizione, infatti, c’è un richiamo alla seconda con cui si subordina la responsabilità del cedente non al solo adempimento del ceduto, bensì al fatto che chi ha ricevuto il credito (cessionario) “abbia iniziato e proseguito con diligenza le istanze contro quest’ultimo”. In altre parole, il credito originario rimane in sospeso fino a quando il cessionario non abbia inutilmente richiesto il pagamento al debitore ceduto. Infine, la realizzazione del credito ceduto produce l’estinzione anche di quello originario. L’importanza della sentenza in rassegna è accresciuta dal fatto che in pochissime occasioni la Suprema corte ha fornito interpretazioni dell’articolo 1198 c.c., terreno particolarmente esplorato, invece, dalla dottrina.

Tre le teorie affermate nel tempo. Secondo un primo orientamento la cessione regolata dall’art. 1267 si distingue da quella contenuta nel’art. 1198 per diversità di disciplina e “rationes ispiratrici”. Ne deriva che in caso di inadempimento del debitore ceduto il creditore ha la facoltà di scegliere se agire contro di lui o del debitore originario. Secondo un altro orientamento le due norme sono unitarie così che la responsabilità del cedente è legata alla solvibilità del ceduto ed è destinata a funzionare nel caso in cui il patrimonio di quest’ultimo sia escusso infruttuosamente. La tesi prevalente sostiene invece che il creditore diventa titolare di due diritti di credito, uno dei quali, quello originario, è inesigibile fino all’eventuale inadempimento di quello ceduto.

A fronte di questa grande produzione dottrinale esistono, sull’argomento, pochissime pronunce di legittimità. Una, ormai remota, la 340 del 1975, sfiora il problema sostenendo che “la cessione del credito pro solvendo non ha di per sé efficacia novativa in quanto a norma dell’art. 1198 il debitore cedente non rimane liberato ma, salva la diversa volontà delle parti, la sua obbligazione verso il proprio creditore si estingue solo con la riscossione del credito ceduto”.

Con la pronuncia di ieri, la Cassazione fa un passo avanti e cassa la sentenza della Corte d’Appello la quale aveva implicitamente ritenuto inutile la preventiva escussione del debitore ceduto, considerata necessaria, invece, dai giudici del Tribunale.te complessivo di 300 milioni per sinistro.