Distinzioni normativo funzionali tra interessi corrispettivi e interessi moratori

Distinzioni normativo funzionali tra interessi corrispettivi e interessi moratori

La nozione sistematica degli interessi viene fornita dal legislatore italiano del 1942 attraverso il ricorso ad una immagine metaforica : quella dei frutti civili. Lo stesso riferimento, sia pure con sfumature diverse, lo ritroviamo anche in altri ordinamenti, come ad esempio nel codice francese, in cui si citano gli interessi quale componente della categoria dei frutti civili.

L’art.820 III comma del nostro codice civile chiarisce che “sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni”.
Ciò significa che gli interessi dei capitali, come del resto tutti i frutti civili, sono applicabili al corrispettivo che un soggetto consegue in virtù del godimento di un proprio bene da parte di terzi : è conseguenza logica quindi la necessaria presupposizione di una obbligazione contrattuale.

In funzione della loro diversa finalità, si tende ad indicare principalmente tre categorie diverse di interessi : corrispettivi, compensativi e moratori.
Gli interessi compensativi, hanno la finalità di assicurare la permanenza dell’equilibrio economico in rapporti giuridici che, a causa del trascorrere del tempo, potrebbero subire una alterazione.(cfr. ad es. art. 1499 cod. civ.) ; quelli corrispettivi, gli unici riconducibili nel concetto di frutti civili, assolvono ad una funzione, appunto, di corrispettivo cioè di fattore equilibratore di un vantaggio goduto dal detentore della somma di denaro.

Gli interessi moratori invece hanno una funzione di risarcimento del danno subito dal creditore per il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione : se il debitore è inadempiente al pagamento di un debito pecuniario, liquido ed eseguibile, il creditore ha diritto di pretendere il pagamento, sulla somma dovuta, di questi interessi, previa messa in mora del debitore. Importante innovazione è stata sul punto introdotta dal recente D.Lgs.n.23/2002 che, attuando la nota direttiva della CE 2000/35, riferendosi ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in transazioni commerciali tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni concluse dopo l’8 agosto 2002, prevede che il creditore abbia diritto alla corresponsione degli interessi moratori automaticamente a far tempo dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza dovere necessariamente mettere in mora del debitore.

Ed è proprio sulla autonomia funzionale degli interessi moratori che concentreremo la nostra attenzione cercando di capire se sia possibile accomunarla allo scopo perseguito dagli interessi corrispettivi.
La norma del codice civile italiano che regola una fattispecie di interessi qualificabili come moratori, è quella disciplinante i danni nelle obbligazioni pecuniarie (art.1224).

Il primo comma di detta norma dispone che il debitore, che adempie in ritardo debba corrispondere gli interessi al tasso legale. Siamo in presenza di una evidente deroga ai principi che governano l’inadempimento delle obbligazioni contenuti agli artt.1218 e ss. cod. civ., nella misura in cui si solleva il creditore dall’onere di provare il danno e, nel contempo, non si da modo al debitore di provare che l’impossibilità temporanea non dipenda da causa a lui non imputabile.

Sotto il primo profilo riteniamo di dovere sottolineare che la liberazione del creditore dall’onere di provare il danno vada ricollegato al principio della naturale riproduttività del denaro, espressamente enunciato nel nostro codice dall’art. 1282. In altri termini l’art. 1224 I comma cod. civ. enuncia una presunzione assoluta , nel senso che il legislatore presume che, durante il periodo di inadempienza il creditore avrebbe potuto fare un impiego per così dire normale del denaro e così ricavare un reddito pari al tasso legale.
Tale assunto pare confermato dal secondo comma della norma in esame, la quale prescrive che, se il creditore intende allegare di avere subito un maggiore danno e dunque conseguire un risarcimento maggiore, la sua pretesa è assoggettata alle regole generali nel senso che egli è tenuto a provare l’entità del danno subito.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono recentemente intervenute sul problema, concedendo al Giudice di merito la possibilità di quantificare il danno sofferto dal creditore servendosi di presunzioni fondate su condizioni e qualità personali di quest’ultimo. Si è arrivati quindi a distinguere varie categorie di creditori che la Giurisprudenza ha individuato in : creditore esercente una attività imprenditoriale, risparmiatore abituale, creditore occasionale ed il creditore modesto.
La seconda eccezione che l’art. 1224 del codice reca ai principi generali in materia di inadempimento, in realtà è più apparente che reale.

Si consideri infatti che la norma generale in materia di responsabilità contrattuale si rifà alla nozione di impossibilità sopravvenuta, nel senso che libera il debitore da responsabilità solo se il ritardo o l’esatto adempimento diventa impossibile per causa a lui non imputabile. Ciò postula che rispetto a tutte le obbligazione che hanno ad oggetto beni fungibili, l’attributo della impossibilità non è predicabile visto il principio genus non perit nunquam. E’ ovvio che tale principio trovi applicazione rispetto al denaro, tenuto conto che quest’ultimo è il bene fungibile per eccellenza.
In definitiva, la norma in esame, presupponendo che il denaro abbia una naturale produttività, consente al creditore di avvalersi di un regime privilegiato, sempre che lo stesso alleghi di avere subito una perdita sostanzialmente coincidente con tale normale redditività.
Se, al contrario, il creditore allega di avere subito una perdita superiore, non vi è ragione di sollevarlo dalle regole generali e, come si è in precedenza analizzato, il II comma dell’art. 1224 rappresenta in buona sostanza una sintesi di quelli che sono i principi generali che governano l’inadempimento delle obbligazioni.

Tali rilievi ci consentono di chiarire che gli interessi moratori presentano pochi punti di contatto con gli interessi corrispettivi, giacchè, mentre i primi rappresentano, come già detto, un risarcimento, questi ultimi rappresentano la controprestazione che si trae dai contratti di credito, come testualmente specifica l’art.820 del codice, laddove definisce i frutti civili. E tale controprestazione può subire una più precisa qualificazione, chiarendo che i contratti di credito sono contratti a prestazioni corrispettive con la conseguenza che esso rappresenta una controprestazione. Tale soluzione del resto si desume anche dalla lettura dell’art.820 che, al secondo comma, istituisce una relazione di corrispettività tra la prestazione degli interessi e la prestazione conseguente alla temporanea attribuzione a terzi del godimento di una somma di denaro.

Da ciò, riteniamo di poter con sicurezza diversificare le discipline da applicare alle due categorie di interessi qui analizzate : gli interessi moratori sottostanno alle regole che disciplinano il risarcimento del danno o, più in generale, alle obbligazioni risarcitorie a meno che le stesse non siano espressamente derogate. Gli interessi corrispettivi, al contrario, e a meno di espresse deroghe, sono disciplinati dalle regole destinate ad incidere sulle prestazioni dei contratti corrispettivi.