Rinuncia all’eredità della moglie, ma lede la quota legittima dell’altro figlio. Il caso

La successione testamentaria si verifica quando una persona decide di disporre dei propri beni dopo la morte tramite la redazione di un testamento. Si tratta di una forma di successione che deroga in parte alle norme sulla successione legittima (ossia in assenza di testamento), consentendo al testatore o de cuius la libertà di decidere a chi destinare i propri beni.

La rinuncia all’eredità può equivalere a donazione indiretta

Tuttavia, questa libertà incontra dei limiti a tutela dei cosiddetti “legittimari”, ovvero quei soggetti – coniuge, convivente, discendenti, ascendenti, fratelli, fratellastri – che hanno diritto a una quota minima di eredità, la quota di legittima appunto). Il testatore può disporre liberamente solo della porzione disponibile dell’eredità, ossia di quel residuo che resta una volta detratte le quote di legittima. Se con il testamento, o come nel caso descritto con la rinuncia all’eredità, viene lesa la quota di legittima i legittimari possono agire con l’azione di riduzione per ripristinare i loro diritti. Quindi solo la porzione di eredità disponibile può essere attribuita dal testatore a persone diverse dai legittimari.

La rinuncia all’eredità altera i diritti successori. Il caso

La fattispecie analizzata dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 23036, riguarda il caso di un padre che aveva rinunciato al testamento della moglie, che aveva a sua volta nominato la figlia erede universale. L’effetto della rinuncia, quindi, è stato quello di trasferire alla figlia l’intero patrimonio della moglie. Tale decisione, tuttavia, se da un lato avvantaggia la figlia dall’altro riduce la quota che sarebbe spettata ad un altro erede legittimario, ovvero il fratellastro nato da un precedente legame del padre.

La rinuncia all’eredità da parte del padre, pur essendo una scelta legittima in quanto espressione della libertà testamentaria, finisce per alterare le quote legittimarie a danno del fratellastro, il quale si vede privato di una parte della sua quota di legittima. Per questo i giudici hanno qualificato la rinuncia come una donazione indiretta nei confronti della figlia. Pur non trasferendo direttamente i beni, il padre arreca comunque un vantaggio patrimoniale alla figlia, ledendo i diritti successori del fratellastro.

Si configura dunque una donazione indiretta che mina il principio della successione legittima e la tutela delle quote legittimarie. Da qui l’accoglimento del ricorso del fratellastro.

Ricorso del fratellastro contro la donazione indiretta. Azione di riduzione per ripristinare la legittima

A fronte della donazione indiretta del padre che ha avvantaggiato la figlia ledendo la sua quota di legittima, il fratellastro ha proposto un’azione di riduzione della donazione stessa. L’azione di riduzione è lo strumento che l’ordinamento prevede a tutela dei legittimari nei casi in cui un testamento o, come in questo caso, una rinuncia che ha provocato una donazione indiretta, intacchino le loro quote legittimarie.

Presentando il ricorso, il fratellastro ha ottenuto ragione nella riduzione della donazione indiretta, in modo da ripristinare la quota di legittima che gli sarebbe spettata in assenza della rinuncia paterna. L’azione non intacca l’intera disposizione, ma solo la parte eccedente la quota disponibile, ossia quella porzione di beni di cui il testatore può liberamente disporre.

In questi casi, come spiega l’articolo vale la pena impugnare un testamento per lesione legittima, il legittimario leso nei suoi diritti successori ha interesse a rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere il ripristino della sua quota o il riconoscimento di un equivalente monetario.